Se avete avuto modo di conoscermi, sapete che inizio con la storia! Non vi preoccupate, ho cercato di essere il più conciso possibile!
In altri articoli parlerò del galateo relativo ai formaggi, alcune ricette per gustare i formaggi e altre in cui sarà uno degli ingredienti per la pietanza.

In latino il termine usato per indicare questo prodotto era caseus, ma era in uso, fra i legionari, il termine formaticum, col quale si indicava appunto una “forma” di questo prodotto de caseus formatus.
Dal latino caseus derivano termini italiani quali “caseificio” e “cacio” (anche “caciocavallo”, ma quella è un’altra storia). In altre lingue avremo lo spagnolo queso, il portoghese queijo, il tedesco Käse, l’olandese Kaas, il lussemburghese Kéis, il romeno caş, il corso casgiu, il calabrese e il sardo casu e l’inglese cheese (tipica parola da selfie!).
Da formaticum derivano, oltre all’italiano “formaggio”, il francese fromage, il formatge catalano e occitano e  formadi friulano.
Formaticum a sua volta deriva dal greco φορμος (formos), il canestro in cui veniva conservata la cagliata.

La storia del formaggio ha origini antichissime nel bacino del Mediterraneo, in nord Africa e in Asia minore. Probabilmente per trasportare o conservare il latte, usarono lo stomaco di qualche animale. Ma, per quanto pulito, rimase del caglio che separò il siero di latte da una massa coagulata: il formaggio.
In Sardegna, in particolare a Nuoro, sopravvive questa antica usanza: il Callu de Crabettu (caglio di capretto), formaggio dal gusto forte e piccante, servito, appunto, in uno stomaco di un capretto.

Ancora nel neolitico, si accorsero che, tolto il formaggio, in questo stomaco rimaneva ancora del liquido (siero). Per togliergli il forte odore, provarono a farlo bollire e ottennero un’ulteriore prodotto: la ricotta (coagulazione di albumina e globulina).

Il termine ricotta si fa risalire al latino “recoctus” che significa ricotto; nello specifico, cotto due volte perché, durante la lavorazione, il siero subisce una seconda cottura ad alte temperature. Ad una temperatura di 80/85 gradi viene aggiunta al siero una sostanza acidificante, che ne contribuisce il coagulo fino a raggiungere la densità di piccoli fiocchi che si accumulano in superficie. Con una schiumarola si raccoglie il coagulo e si lascia sgocciolare nei tipici cestelli forati per circa ventiquattrore fino a farle raggiungere la consistenza desiderata.
Probabilmente il primo dolce della storia nacque quale offerta alla dea madre della terra (Ishtar sumera e Iside egizia) mescolando del miele alla ricotta. Sulla ricotta, però, ne parlerò in altro articolo; in fondo non è un formaggio!

Nella Mesopotamia del III millennio a.C. esiste un bassorilievo, denominato “Il fregio della latteria”, che raffigura dei sacerdoti sumeri intenti a lavorare la cagliata: è il più antico reperto sulla produzione. Altri documenti risalenti alla stessa epoca si possono trovare anche in Egitto. È citato in Omero quando descrive la grotta di Polifemo, dove il ciclope sta preparando il formaggio appunto, e nella Genesi della Bibbia. Per la diffusione del formaggio in Italia dovremo aspettare il 1500 a.C.

La mitologia greca racconta che Aristeo, figlio di  Apollo e della ninfa Cirene, insegnò l’apicoltura, la pastorizia e l’arte casearia. Ippocrate parla delle virtù salutari del formaggio e Aristotele di come ottenerlo con il caglio di fico, metodo molto utilizzato nella cucina ebraica.

Anche i Romani avevano il formaggio: Marco Terenzio Varrone (I secolo a.C.) ne fa una sorta di classificazione (la prima, credo) in base alle varie tipologie di latte e alla stagionatura, aggiungendo che preferisce quelli fatti con caglio di lepre. Un paio di secoli più tardi Lucio Giunio Moderato Columella ne descrive il processo di produzione, citando anche caglianti vegetali come il fiore di cardo, il latte di fico e lo zafferano con l’aceto (“coagulum“). Per accelerane la stagionatura, inventarono la pressatura, mettendo il formaggio sotto dei pesi forati.

Ma se l’arte di produrre formaggio è andata sempre più migliorando e affermandosi fra gli antichi Greci e Romani, nell’alto medioevo, invece, ci fu un’involuzione. Solo nei monasteri era possibile conservare la tradizione latina: producevano, a loro uso e consumo, formaggio, anziché utilizzare il latte per produrre bevande fermentate, come erano soliti fare molti dei popoli discesi nell’impero dopo la sua caduta. In quel periodo il formaggio veniva considerato un cibo dei poveri, adatto alla gente di campagna dai “gagliardi stomaci“.

In una biografia di Carlo Magno, datata IX secolo, si racconta che in una visita a sorpresa presso un vescovo, poiché giorno di magro, gli fu offerto un semplice pasto con del formaggio, che l’imperatore definì “un ottimo formaggio bianco e grasso“. Pare che quest’aneddoto stia alla base del nome CastelMagno, paese che produce il famoso e omonimo formaggio.

Nel basso medioevo i formaggi ricominciarono ad essere apprezzati e ricomparvero sulle tavole nobiliari.Nel ‘200 e nel ‘400, veniva descritto in vari ricettari, inizialmente come ingrediente complementare poi quale pietanza a se stante. Servito alla mensa dei Papi, dei Medici, degli Estensi (offrivano bocconcini di parmigiano, come si usa anche ora!), riconquistò il posto che si merita. Da allora il formaggio fu presente sia sulle tavole nobili (a fine pasto) che contadine (pietanza principale)!
Un trattato sulle qualità nutritive del prodotto fu redatto dal medico ed accademico vercellese Pantaleone da Confienza nella sua “Summa Lacticinorum“, nella seconda metà del Quattrocento.

Riporto un detto francese di questo periodo  “Oncques Deus ne fist tel mariage comme de poire et de fromage” che, tradotto in italiano, suona “al contadino non far sapere quant’è buono il formaggio con le pere“. Abbinare la frutta al formaggio è un’usanza tipica medioevale!  Concludo questa incisa con una frase del Petrarca: “Addio l’è sera. Or su vengan le pera, il cascio e ‘l vin di Creti“.

Tariffe di pedaggi e gabelle, comprovano che il formaggio di differenti qualità circolava per l’Italia, raggiungendo mercati ben lontani dal luogo di produzione. I formaggi più diffusi erano il marzolino toscano, detto così perché prodotto a marzo, e  il maggengo cisalpino, perché prodotto a maggio, molto simile all’odierno parmigiano.

Dal basso medioevo ad oggi, l’arte e l’industria casearia si svilupparono in tutta la penisola italiana, raggiungendo dei livelli qualitativi talmente alti da esportare prodotti in tutto il resto del mondo e, purtroppo, generando tutta una serie di pessime imitazioni. Basta pensare al “Sarvecchio Parmesan” premiato come miglior formaggio statunitense, al “Romano” prodotto in Illinois (per di più di latte vaccino), al “Parma” prodotto in Spagna, al “Fontine” danese, al “Cambozola” e “Parmesan” tedeschi, o al “Pecorino” di mucca cinese!

Secondo l’INSOR (Istituto Nazionale di Sociologia Rurale) i tipi di formaggio classificati sarebbero 403 (escluse le produzioni casalinghe o poco più). Non pubblico l’elenco perché ne trovate quanti volete sul web. Invece vi  parlerò di come vengano classificati.

Caratteristiche

I formaggi sono un alimento prezioso perché ricchi di calcio ottimo per le ossa e  i denti, per la coagulazione del sangue, l’attività cardiaca e la contrazione muscolare. Sono ricchi di proteine, di magnesio e di potassio (la cui carenza può portare debolezza o crampi), di vitamina A, E, di fosforo, cloro e sodio. Non è, però, quello che si può definire un alimento completo: mancano di ferro e di alcune vitamine come la C.

Per fare il formaggio possono essere usati vari tipi di latte, di diversa provenienza, non nel senso da quale paese, ma da quale animale. In Italia abbiamo quattro tipologie di animali da latte per formaggio: mucca, capra, pecora e bufala. Per di più il latte può essere mescolato, in percentuali ben precise, per avere formaggi di latte misto.


Classificazione

Oltre alla provenienza animale del latte alcune grandi classi raggruppano i nostri formaggi, nelle quali ritroverete quelli da voi preferiti:

  • latte: crudo oppure pastorizzato che a sua volta potrà essere intero, parzialmente scremato o scremato, ottenendo formaggio:
    • grasso: contenuto in grassi superiore al 42% della sostanza secca
    • semigrasso: tra 35 e 42%
    • leggero: tra 20 e 35%
    • magri:  inferiore al 20%
  • consistenza: correlata al contenuto di acqua, si distinguono formaggi:
    • a pasta dura: inferiore al 40%  (grana, parmigiano, pecorino romano)
    • a pasta semidura:  tra 40 e 45% (pecorino toscano, bra, bitto, branzi, montasio)
    •  pasta molle: con acqua superiore al 45% (stracchino, crescenza, squacquerone)
  • temperatura di lavorazione della cagliata:
    • a pasta cruda: la cagliata non viene riscaldata  (robiola, taleggio)
    • a pasta semicotta: non supera i 48° (fontina, salignon)
    • a pasta cotta: riscaldandola oltre i 48° (montasio, piave, bitto)
  • processo di lavorazione della pasta:
    • erborinata: con muffa verde (gorgonzola, castelmagno)
    • filata: caratterizzata dalla immersione in acqua bollente per ottenere dei fili sottili e lunghi (mozzarella, caciocavallo)
    • pressata: con pressatura, manuale o meccanica, della cagliata (buona parte dei formaggi stagionati)
    • fusa: miscela di vari tipi di formaggi fusi insieme (le sottilette per esempio)
  • tipologia di crosta:
    • naturale: viene semplicemente spazzolata prima della messa in commercio, generalmente non edibile, al contrario delle seguenti
    • fiorita o brinata: sulla superficie del formaggio si forma una muffa edibile bianca, nella maggior parte dei casi (camoscio d’oro, camenbert, brie)
    • lavata o rossa: la superficie viene ripetutamente lavata  e spazzolata, ottenendo un colore tra il marrone e il rossiccio; il lavaggio può essere effettuato con sale e acqua o birra o vino o brandy o altro (taleggio, chaumes)
  • tempo e conservazione:
    • formaggi freschissimi: (o a maturazione rapida) tra le 24 e le 48 ore o meno di 15 giorni (mascarpone, primosale, mozzarella)
    • formaggi freschi: inferiore ai 30 giorni (caprino, stracchino, certosino)
    • media stagionatura: da 40 giorni a 6 mesi (pecorini giovani, montevecchia)
    • stagionatura lenta: tra 6 mesi e 12 mesi (pecorino toscano o sardo)
    • stagionatura lunga: oltre l’anno (il parmigiano arriva anche oltre i 72 mesi!)
    • formaggi affumicati: in fase di maturazione subiscono un processo di affumicatura alcune interpretazioni di pecorini o caprini e anche la ricotta specie al Sud; mediocri, invece, quelli aromatizzati chimicamente al gusto di fumo

Adesso, quando comprate un formaggio, provate a classificarlo!

 

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento