La mia Missione
Con la frenesia di oggi, e soprattutto a Milano dove lo stress è moda, non abbiamo più tempo, anzi, la voglia di applicarci in quello che si può definire tempo libero.
Finita la settimana lavorativa, via di corsa per una fine settimana al mare o in montagna, a seconda della stagione. E nel periodo delle vacanze estive subito a scappare via, tanto i bagagli o li abbiamo fatti nei ritagli di tempo o ci servono a poco.
La sera, finito il lavoro, subito a casa e ci scaldiamo nel microonde una pietanza presa a caso dal surgelatore. Poi ci stravacchiamo sul divano a guardare un film o dei reality (che secondo me sono una boiata pazzesca parafrasando il Fantozzi Rag. Ugo – ma io non faccio testo!), precedendo il tutto con le notizie del telegiornale.
No, non si può andare avanti così! Non troviamo più tempo da dedicare a noi stessi. Dobbiamo prendere dal passato le cose buone. L’aristocrazia faceva del tempo libero un’arte meravigliosa, pur mantenendo pressappoco la stessa quantità di impegno profuso oggi nel lavoro.
Dove si nasconde, però, la differenza? E’ sottile intenderla e consiste in una sola parola ‘asincronicità’ contrapposta alla ‘sincronicità’.
Vediamo se riesco a spiegarmi: se mi arriva un messaggino sul cellulare, è necessario vederlo subito e rispondere immediatamente? E’ urgente farlo?
La razionalità mi direbbe: se fosse stato urgente, mi avrebbero telefonato, quindi lo posso guardare tra un po’- quando ho finito quello che sto facendo!
E invece come ci comportiamo? Smettiamo di fare quel che stiamo facendo, guardiamo il messaggino e rispondiamo, quindi ricominciamo a fare quello che avevamo interrotto. Per ricominciare devo rientrare nello spirito precedente e mi ci vuole un po’, quindi perdo del tempo. Tutti questi piccoli ritardi si accumulano in una giornata; mi sembra che non mi basti più il tempo e quindi? Un aumento di stress, stanchezza e una sensazione di inadeguatezza.
Ho fatto l’esempio del messaggino, solo per essere al passo coi tempi, ma, mi ricordo, succedeva già lo stesso con i primi fax: c’era sempre quello che non finiva di mangiare oppure trangugiava tutto perché aspettava un fax e doveva correre in ufficio a vedere se era arrivato. Cercavo di spiegargli che non cambiava nulla, vederlo alle 14 o alle 14 e 2 minuti; ma si sa, il mondo è bello perché è vario (o, come dicono alcuni, avariato).
Cucinare il cibo: si può impiegare trenta minuti per nutrirsi, ma ce ne vogliono solo trentatré per mangiare bene! I tre minuti utilizzati in più ci cambiano la qualità della vita. Purtroppo è pensiero comune che siano 3 minuti sprecati…
Il modello comportamentale dell’aristocrazia insegnava a dar tempo al tempo: sembra una frase fatta e copiata dagli incarti dei baci Perugina, ma è quanto mai vero e necessario al giorno d’oggi. L’invitare qualcuno a casa propria o essere ospiti a casa di qualcun altro è una forma meravigliosa di restituire al tempo i suoi tempi.
Invitiamo qualcuno a casa nostra la prossima settimana? Ho quindi più di una settimana di ritagli di tempo da dedicare a questo evento, organizzandomi in tutte le varie mansioni necessarie, ma soprattutto con la calma necessaria, senza stress alcuno.
Non è forse una forma di cura più valida del Cynar?
In più aggiungiamo la gratificazione di una serata ben riuscita, in cui gli invitati si sono divertiti, rilassati e riposati (nel senso latino di otium!).
Il punto di vista aristocratico è forse da condannare?
Certo, una volta avrei dato gli ordini in cucina e al maggiordomo, e mi sarei occupato al massimo di quali persone invitare. Oggidì, non è più così. E’ più faticoso, ma poi non molto: basta un minimo di voglia e di costanza. Abbiamo un sacco di elettrodomestici che ci permettono di far meno lavoro manuale e ottenere dei risultati anche migliori!
In un invito esistono varie facce. Per prima cosa l’invito non è a pranzo: questa è solo la scusa! L’invito vero è quello di: venite a conversare, intrattenerci, scambiare opinioni, passare il tempo, rilassarsi, distrarsi a casa mia?
In effetti esiste un: prima di mangiare, si prende un aperitivo e si chiacchiera (nel senso più ampio e positivo del termine) in attesa che tutti i convitati arrivino; dopo mangiato, ci si rilassa e si discute bevendo qualcosa e sgranocchiando qualche cioccolatino; il durante – oggi c’è qualche complimento per la qualità del cibo, una volta quasi mai – ma ci si diverte, discutendo.
Gli argomenti addotti sono sempre i più vari e i più disparati, e si chiacchiera a gruppi a volte ancora, ma senza farlo apposta, maschi e femmine separati: barzellette, storielle divertenti, politica, sport, passioni e hobby, e anche qualche pettegolezzo, magari buttandolo sul piccante ma non troppo.
Una volta, ma me lo ricordo anche quand’ero piccolo, si giocava e non a carte: qualcuno si ricorda forse le sciarade, magari mimate, su titoli di film, oppure gli indovinelli? Anche dividendosi in squadre?
Pensate che venivano fatti sin dai tempi dei romani e dei greci!
Quindi possiamo dire che un invito è un insieme di diversi tipi di interazioni, il cui equilibrio viene retto dai padroni di casa e che si può riassumere in quella piacevole frase che sentirete, si spera, qualche giorno dopo: ma quanto siamo stati bene a casa vostra! – detta ovviamente con sincerità e non con adulazione.
Invitare è un’arte? La definizione di arte è (dalla Treccani): la capacità di agire e di produrre, basata su un particolare complesso di regole e di esperienze conoscitive e tecniche, e quindi anche l’insieme delle regole e dei procedimenti per svolgere un’attività umana in vista di determinati risultati.
Sì, invitare è un’arte e vengono applicate tutte le arti del trivio (grammatica, dialettica, retorica): si parla, si discute e si argomenta. Ma anche quelle del quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia, musica): si fanno i conti in tasca al governo, si parla di architettura e si spettegola di stelle, e spesso la musica è di sottofondo, tranne quando mi capita di suonare (su richiesta e molto pregato!) o suona qualche amico.
A parte lo scherzo, con riferimenti altomedievali, invitare bene e lasciar le persone contente è, effettivamente, un’arte o meglio un insieme di arti e per meglio spiegarmi le dettaglio nei capitoli che seguono:
“Invitare qualcuno a pranzo significa occuparsi della sua felicità finché sarà sotto il nostro tetto” (Anthelme Brillat-Savarin)
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