LE DIVERSE CUCINE
Per tre cose l’uomo viveva: procurarsi il cibo, mangiare e riprodursi. Man mano che riusciva a procurarsi il cibo in minor tempo e in quantità maggiore, otteneva tempo per le altre due cose. Quindi l’uomo ha incominciato ad apprezzare il modo in cui il cibo veniva cucinato e ha sviluppato delle tecniche diverse per la cottura del cibo. Incominciarono ad essere assegnati dei ruoli e delle mansioni alle varie componenti del gruppo. A chi toccava cucinare? Alle donne che dovevano restare alla grotta per crescere i figli. Agli uomini, invece, il compito di procurare cibo con la caccia o la raccolta. Quando si raggiungeva una certa età (presumibilmente tra i 25 e i 30 anni) si diventava ‘anziani’ o ‘saggi’ ed il compito era quello di insegnare ai più giovani le varie mansioni, di curare i malati o i feriti, dirimere le varie dispute. Nel tempo si è formata una vita sociale.
Quindi sin dagli albori della vita sociale, l’uomo ha sempre creato dei ‘distinguo’ per le varie persone che eccellevano in qualcosa: il miglior cacciatore, il miglior sciamano (inteso come un misto tra medico e prete), il più veloce, la più bella, la più madre e così via. E come dimostrava concretamente ciò? Principalmente col cibo …
Il motivo è semplice: la fatica fatta per ottenerlo: caccia, raccolta, agricoltura, ricerca, baratto, costo e cucina. Per ottenere del cibo migliore era necessaria una maggior fatica. Il cibo, quindi, rappresentava la sintesi della fatica del vivere.
Sin dalla preistoria è esistita, quindi, una scala gerarchica nei gruppi di esseri umani. Ad esempio, il cacciatore migliore, per bravura, coraggio e abnegazione, riceveva in premio la parte migliore della preda, quale ricompensa per aver sfamato il gruppo. Questa forma gerarchica si è sempre mantenuta nel tempo, il migliore (in greco: αριστος – aristos) ha sempre ricevuto per ricompensa del cibo. Non dimentichiamo che il consumo calorico era di gran lunga superiore nel passato. Ma non voglio scrivere un trattato storiografico (per ora!).
Come ricompensa si dava ai migliori il miglior cibo e, quando nella vita si inserì la religione, si offriva agli dei quanto di meglio si ricavava. Da quel che la storia mi ha fatto capire, penso che il primo dolce offerto alla Dea Madre (o alla Dea Terra) fosse la ricotta addolcita col miele.
Salto la preistoria, i Sumeri, gli Assiri e i Babilonesi, gli Egizi, i Greci, i Romani e arriviamo al medio evo, dove troviamo due differenti cucine: quella aristocratica (comprendendo non solo i nobili, ma anche il clero) e quella popolare.
Com’è possibile distinguere una ricetta di un tipo o dell’altro? E’ semplice.
In base alla quantità di lavoro, qualità degli ingredienti e, soprattutto, costo degli stessi, la presenza di spezieDiverse sostanze aromatiche di origine vegetale, secche o fresche, come pepe, zenzero, chiodi di garofano, cannella, noce moscat... altro e drogheDall'olandese droog (cosa secca). Tutti gli aromi secchi che vengono utilizzati in cucina, generalmente dopo essere pestati in u... altro (dall’olandese droog: cosa secca).
Il nobile o l’alto prelato aveva dei servi che si occupavano solo della cucina e dedicavano tutto il loro tempo a tale mansione. Questi servi si nutrivano degli avanzi del pranzo o degli scarti di lavorazione, ma, poiché erano cuochi, trasformavano questi scarti in un piatto simile a quello per il nobile senza aggiungere ingredienti costosi. Le pietanze ottenute venivano distribuite anche agli altri servi del palazzo e le relative ricette venivano raccontate al resto della popolazione.
Cito, ad esempio, l’espressione francese ‘casser la croûte’ (rompere la crosta), attualmente utilizzata in via gergale col significato di mangiare qualcosa alla buona: poiché non esisteva un sistema di regolazione della fiamma, gli arrosti venivano ricoperti di pasta di pane (o pane raffermo bagnato e rimodellato) che da una parte bruciacchiava, ma dall’altra si imbeveva dei succhi della carne. La crosta veniva rotta per estrarne l’arrosto e i pezzi di crosta non venivano serviti o, peggio buttati, ma venivano distribuiti alla bassa manovalanza di cucina (sguatteri, fuochisti e aiutanti), che nei pochi momenti liberi li sgranocchiavano per tirarsu dalle fatiche.
Ma quali sono gli alimenti costosi e le droghe usate? Certamente le parti migliori delle bestie da macello (bovini, suini, ovini ed equini), tutta la selvaggina, specie da piuma (la caccia era dei nobili), e poi pepe, cannella, noce moscata e lo stesso sale, la verdura tenera e appena colta, lo zucchero e il miele. A questo aggiungiamo pietanze con lunga e complessa preparazione, e con cotture diverse.
In quel momento del medio evo le regioni ricche, dal punto di vista gastronomico, erano al Sud con le due città più importanti Napoli e Palermo, con una forte rivalità (sempre gastronomicamente parlando).
E Roma? Le tradizioni papali cambiavano ogni volta che cambiava il Papa, che magari proveniva da una città diversa se non da uno stato diverso, e cambiavano anche i cuochi: ognuno preferiva e si fidava del suo. Sono numericamente pochi i piatti di tradizione romana e quelli che tutti ricordano sono relativamente recenti ad eccezione del Brodetto Pasquale, retaggio del medio evo, che purtroppo viene spesso dimenticato e poco considerato.
I vari popoli che hanno invaso e formato la Magna Grecia hanno lasciato le loro tradizioni e gli italiani, da gran popolo che sono, le hanno trasformate e di gran lunga migliorate, portando la cucina siciliana e partenopea agli apici della gastronomia mondiale, per la gran varietà di pietanze, ingredienti e tecniche di cucina.
Il quel periodo, in particolare nel 1581, a Malta l’allora Gran Maestro dell’Ordine, il francese Jean L’Evêque de la Cassière, in accordo con l’Inquisitore e il Vescovo, decise di porre termine ai lassisti costumi dei giovani cavalieri dando luogo a quello che la storia riporta come la “Cacciata delle amanti”, amanti che venivano mantenute con stuoli di servi, regalie di vario tipo e cuochi sopraffini per attirarle con la gola. In quell’ottica vennero abolite varie feste, tra cui il famoso Carnevale Gastronomico di Malta.
Queste amanti, ed i loro cuochi, si trasferirono alcune nei dintorni di Agrigento e altre in città siciliane, diventando anche spose di alti nobili, ma molte, annoiandosi, se ne tornarono alle loro case ed i cuochi, con i loro aiutanti, cercarono lavoro andando in giro per l’Europa presso altre famiglie nobiliari, portando le tradizioni della cucina siciliana e partenopea nel resto del mondo.
Questo episodio dapprima suscitò un forte clamore, ma il clero e l’Inquisizione riuscirono a buttare acqua su questo enorme fuoco, in modo così sublime che oggi l’episodio non viene ricordato.
La cucina delle Due Sicilie, all’inizio contaminata anche da quella dell’Europa (Germania e Francia soprattutto), tornò prepotentemente ad essere conosciuta e i Monsù (o Monzù) dettarono legge nelle varie regioni.
Molte sono le doppie ricette e le trasformazioni che la tradizione ci riporta, ma dopo il Rinascimento abbiamo un’ulteriore trasformazione: i paesi cambiano in città, lo stile di vita si modifica e nasce un nuovo tipo di cucina quella metropolitana o cittadina. Una via di mezzo tra l’aristocratica e popolana: se vogliamo. Ma ogni tipologia di cucina è ben delineata due pietanza possono portare lo stesso nome ma sono comunque diverse.
Nei prossimi post approfondirò le tre diverse cucine: aristocratica, metropolitana e popolare.
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