RISI E RISOTTI
Non voglio raccontare tutta la storia del riso, partendo dai primi reperti antichi di 10.000 anni, mi limito a dire che gli ‘arabi’ portarono (e imposero) il riso in Sicilia nel IX° secolo, insieme alle arance amare e i limoni.
E’ in quel periodo che nascono gli arancini di riso. L’emiro catanese Tummah, talmente goloso di riso che si accredita a lui la ricetta della ‘tummala di riso’ con fegatini e brodo di pollo, si cibava più volte al giorno di focaccine di riso.
Riso in brodo con sfilettature di carne di gallina, insaporita con piselli, cipolla e formaggio tenero e saltata con zafferanoSpezia ricercata e molto raffinata, è la più costosa. Si ottiene per dall’essicazione e dalla successiva polverizzazione deg... altro,
il tutto racchiuso in tenera pasta di pane e fritto: simile agli odierni antipasti del Magreb “briouats”.
Col tempo la pasta di pane fu sostituita da una sottile panatura di pangrattato passando prima la pallina di riso nell’uovo e friggendola nell’olio di oliva. Quando la ricetta passò ai cucinieri cristiani di conventi, questi, verosimilmente per schernire i colleghi arabi, friggevano nello strutto e nella sugna di maiale, proibita ai musulmani, e cominciarono ad ornare queste palline di foglie fresche di arancio amaro, da cui l’attuale nome.
In un epoca imprecisata ma posteriore alla scoperta dell’America, la farcia si arricchì di salsa pomodoro e ragù di carne tagliuzzata e veniva racchiusa da riso allo zafferano, entrando di fatto nelle cucine aristocratiche.
Se ne impadronì poi la rosticceria popolare e di strada, espandendosi prima a Napoli e poi a Roma dove cambiò nome in supplì: un rosticciere catanese volle confezionare degli arancini per il suo capo francese che, vedendoli, disse “Surprise… surprise” e il cuoco catanese non conoscendo la lingua canzonò il suo capo ripetendo “Supplì… supplì”. Nel nord presero invece il nome di crocchette di riso, dal francese ‘croquettes’.
Nel XV secolo il riso dalla Sicilia fu portato anche nel settentrione dove venne utilizzato dagli Sforza per quelle popolazioni con difficoltà di insediamento nel Milanese e nel Pavese.
Nel XIX secolo è famoso il canale Cavour per l’irrigazione delle risaie di Nostrale, l’unico tipo coltivato allora. Sorsero, però, due problemi il brusone e la malaria, associata alla coltivazione per sommersione. Per combatterla si introdussero altre tipologie i “risi a secco” e i “risi di montagna”.
E finalmente nel 1925, nel Vercellese, venne creato artificialmente il primo incrocio tra due varietà di riso. Da questi esperimenti nacque il “Vialone Nano” (nomi delle due varietà) nel 1937, e nel 1945 il “Carnaroli” tra “Vialone” e “Leoncino”.
Il riso coltivato attualmente in Italia è della sottospecie Japonica tipicamente usata per i risotti. Ed è tutto di altissima qualità, tanto che i buongustai giapponesi lo richiedono per il loro piatti. Si divide in 4 tipologie di cui riporto tra parantesi i nomi commerciali più utilizzati:
Risi comuni: chicchi piccoli e tondi richiede una cottura di 12/13 minuti
(Originario, Balilla e Balilla grana grossa, Cripto, Rubino)
Risi semifini: chicchi tondi di media lunghezza o semi lunghi con cottura di 13/15 minuti
(Rosa Marchetti, Lido, Monticelli, Italico, Maratelli, Piemonte, Padano, Romeo, Vialone nano)
Risi fini: chicchi affusolati e semi affusolati con cottura di 14/16 minuti
(Ribe, Europa, R.B., Ringo, Romanico, P. Marchetti, Radon, Veneria, Rizzotto, S. Andrea, Vialone nero)
Risi superfini: chicchi grossi lunghi e molto lunghi con cottura di 16/18 minuti
(Arborio, Redi, Volano, Roma, Razza 77, Baldo, Carnaroli, Silla, Gritna, Italpatna)
I RISOTTI (TEORIA)
Il risotto è un piatto tipicamente italiano (di provenienza milanese per la precisione e da lì diffuso nel resto dell’Italia), è conosciuto in tutto il mondo (un’eccellenza della nostra cucina!), ma viene eseguito in vari modi.
Ma qual’è il miglior tipo di riso?
Non c’è una risposta, ma dipende dal tipo di risultato. Prendiamo 3 tipi di riso, i più usati: Carnaroli, Arborio e Roma.
Sono rispettivamente usati nel Nord Ovest, nel Nord Est e nel Centro.
Il Carnaroli viene usato per il risotto alla Milanese: deve mantenere un po’ più di grasso (amidoParole proveniente dal latino medievale amidum, e questo dal latino classico amy̆lum, dal greco ἄμυλον (neutro di ἄμ... altro) e l’onda (umidità).
L’Arborio usato per il risotto al radicchio: deve riposare dopo la cottura (‘maridare’ in dialetto veneto) prendendo tutti i sapori senza perdere il ‘dente’.
Il Roma per il risotto alla marinara: deve mantenere l’onda senza l’aggiunta del formaggio grattugiato, ed è un po’ più asciutto.
Ma è soprattutto il cuoco che, conoscendo il riso che utilizza, farà il miglior risotto possibile.
Dividiamo la cottura in 4 fasi:
– fondo: il soffritto non deve colorarsi, quindi la cipolla va stufata;
– tostatura: il riso deve essere tostato fino a diventare trasparente, quindi sfumato al vino o al brodo secondo le diverse scuole di pensiero;
– cottura: è necessario un buon brodo (vegetale o di carne o un fumettoLiquido risultante dalla cottura di scarti di pesce, insieme a odori, aromi e spezie. altro) bollente che va aggiunto gradatamente senza far annegare il riso;
– mantecatura: rigorosamente fuori dal fuoco, il burro o l’olio ben freddi devono creare un’emulsione con i liquidi, del parmigiano, eventualmente, terminerà l’opera.
Assaggiate sempre il riso per verificarne il sale e il grado di cottura: i tempi sono indicati sulle confezioni; considerate, però, uno o due minuti in meno, in quanto la cottura continuerà durante la mantecatura.
RISOTTO ALLA MILANESE (PRATICA)
Vivendo a Milano, non potevo che scegliere questa buonissima ricetta che prende spunto nel XVI secolo.
Nel settembre 1574, un allievo, bravissimo nel dosare i colori, del Maestro vetraio Valerio di Fiandra, incaricato delle vetrate del Duomo, decise di fare uno scherzo durante il ricevimento di nozze della figlia del Maestro. Fece mettere dello zafferano (polverina che lui usava per rendere più brillanti i colori) nel risotto: stupore degli invitati alla vista del riso giallo. Un invitato si fece coraggio e lo assaggiò e poi un altro, e lo mangiarono tutto fino all’ultimo chicco. Il tiro mancino andò a male ma nacque il risotto allo zafferano!
La ricetta come la conosciamo oggi è della prima metà dell’ottocento (Felice Luraschi – 1829 – Nuovo cuoco milanese economico).
Prima di procedere al risotto, avrete avuto cura di preparare un buon brodo (ricetta alla fine).
Grattugiate 100 grammi di parmigiano reggiano con stagionatura di almeno 36 mesi.
Preparate 100-125 grammi di burro in cubetti di 2 cm di lato, rotolateli in un po’ di parmigiano e metteteli in frigo.
Per 500 grammi di riso Carnaroli calcolare 2 litri di brodo di carne (ben filtrato).
Altri risi che ho provato a utilizzare , e con ottimi risultati: S. Andrea (più che ottimo ma attenzione: scuoce subito!), Baldo (ottimo sostituto), Vialone nano (ottima cremosità) e Arborio (ottima consistenza).
– fondo: sciogliere 40 burro, aggiungere 70 di scalogno e 40 di midollo tritati (per tritareDetto principalmente per le verdure e gli odori. Ridurre in dadini piccoli la verdura. altro senza difficoltà il midollo, metterlo 10 minuti in freezer), stemperare con un po’ d’acqua per stufareCottura in umido adatta a carni e verdure, lenta e a fuoco moderato. altro bene;
– tostatura: quando l’acqua del fondo si asciuga completamente versare il riso e mescolare bene fino a renderlo trasparente; sfumare con 150 di vino bianco (non troppo secco altrimenti si sentirà un ritorno di acidità);
Se sentite lo sfrigolio del vino avrete tostato correttamente il riso.
– cottura: versare il brodo a mestolate, avendo cura di non annegare il riso, e girare con un cucchiaio di legno – fuoco medio.
Girate poco altrimenti viziate il riso e dovrete farlo continuamente.
Il famoso chef Georges Auguste Escoffier, che ha standardizzato tutte le ricette di cucina, consigliava di versare il brodo in tre volte. Ho provato il suo metodo e il risultato è ottimo. Comunque preferisco versarlo un mestoloChiamato anche ramaiolo o minestro, viene utilizzato per servire o cucinare cibi liquidi. E' un grande cucchiaio a conca semisfe... altro alla volta; al contrario di un cuoco di ristorante ho il tempo di seguire tutta la cottura. L’importante è che il brodo sia ad ebollizione al momento di versarlo per evitare un abbassamento di temperatura e la conseguente fuoruscita di amido, trasformando il riso in una pappetta.
– cottura: a metà cottura versare un mestolo di brodo con la polvere di zafferano sciolta dentro; preparare una tazzina con un po’ di brodo e versarci dello zafferano in pistilli; a fine cottura, regolare di sale e pepe bianco;
Il tempo di cottura deve essere calcolato per un risultato al dente e un minuto indietro per terminare durante la finitura.
– mantecatura: versare la tazzina di brodo con i pistilli, mescolare; fuori dal fuoco, versare il parmigiano e mescolare emulsionando; amalgamareMescolare più ingredienti o composti per ottenere un prodotto omogeneo. altro i cubetti di burro ben freddi sempre emulsionando. Sciolti i cubetti, coprire con un coperchio e attendere un minuto al fine di far rilassare il risotto, stressato dalla mantecatura.
Servire caldo con del parmigiano grattugiato a parte.
L’ho servito con, a parte, un bellissimo pezzo di carne – cappello del prete – tagliato a fettine, carote bollite e divise in quatro (la passione di Daniela) e una crema di carciofi. Accompagnando con mezza bottiglia di Prosecco di Conegliano, avanzato dall’aperitivo della sera prima: non pensavo, ma si sposa bene! L’ho anche usato per sfumare il riso.
RISO AL SALTO (PRATICA)
Su richiesta di un’amica aggiungo come fare il riso al salto.
E’ un sistema relativamente moderno ma non ha una datazione precisa. Intorno agli anni ’70 nel famoso Ristorante Savini viene presentato nel menù, quale variante del risotto alla milanese.
Si può fare con qualunque tipo di risotto (forse non di pesce, ma provate) ed è un metodo per utilizzare gli avanzi.
E’ una tecnica molto simile a quella dei rösti svizzeri.
Sciogliere il risotto, ormai addensato, del giorno prima in una padellaUn qualunque contenitore metallico a bordi bassi ed eventualmente svasati. altro con una noce di burro, mescolarlo lentamente finché non si scaldi in tutte le sue parti. Compattarlo con un cucchiaio di legno e dargli la forma a tortino. Attendere che si colori bene nella parte inferiore, inizialmente a fuoco basso poi alzarlo.
A questo punto, se volete, potete saltarlo con un colpo di polso facendolo girare in aria; ci riesco se è non è troppo grande.
Altrimenti utilizzate il vecchio sistema del coperchio: fatelo scivolare su un coperchio o su un piatto largo, appoggiate la padella sopra e rigiratelo d’un colpo. Mi raccomando, è caldo! Usate dei guanti da forno o dei canovacci.
Continuare la cottura dall’altro lato fino a quando non avrà un colore ben dorato.
Servitelo subito e, volendo, con dei pomodorini ciliegini tagliati a metà come decorazione: la loro acidità sgrasserà la bocca permettendovi di assaporare meglio il vino.
Curiosità: lo zafferano viene usato per colorare il riso, soprattutto in Sicilia e in Lombardia. In Sicilia, retaggio arabo che ci portiamo dietro da un millennio, viene utilizzato per moltissimi piatti tra cui la famosa suppa ‘ndorata (servita il sabato nei feudi).
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