SCIABBÒ, TARTE TATIN E ALTRO

La mia mogliettina adorata Daniela (se volete anche in senso ironico e/o sarcastico) ha detto, giovedì sera: Invitiamo qualcuno sabato? Certo, risposi, perché no?
Cosa faccio? Quella pasta che hai inventato per Raffaello? No, potrei fare uno sciabbò! E’ tanto che non lo preparo! (Non lo avevo mai fatto…)

Sciabbò, parola delle Due Sicilie corruzione del francese ‘jabot‘ (letteralmente: parte dell’esofago di alcuni uccelli, utilizzato per trattenere temporaneamente il cibo) indica una specie di cravatta fatta di trine e stoffa pieghettata che nel ‘700 copriva il davanti della camicia.
A Venezia, sempre nel ‘700, veniva chiamato ‘sfenda’, probabilmente derivato da ‘sfendone’ che indica una stoffa finemente ricamata che le donne dell’antica Grecia usavano per sostenere l’acconciatura.
Questa parola indica le lasagne con il bordo arricciato (comunemente chiamate in italiano reginette, mafalde o mafaldine) che, appunto, ricordano uno jabot.
Non le ho mai fatte a mano, e non saprei da dove iniziare per farle. Per cui mi sono affidato alle mafaldine acquistate dal mio ortolano (l’unico negozio dei dintorni ad avere pasta di alta qualità).

Venivano serviti, nella versione più ricca e aristocratica, in un timpano di pasta frolla o pasta brisée a Capodanno.
Un vecchio proverbio contadino (dove gli sciabbò venivano chiamati ‘lasagni cacati‘, che vuol dire proprio quello che pensate!) recita:
Lasagni cacati e vinu a cannata
Bon sangu fannu pri tutta l’annata.

(Sciabbò e vino bevuto a canna, fanno buon sangue per tutto l’anno)

La ricetta contadina prevede un ragù di ritagli di maiale e ricotta (cacioricotta o ricotta secca, non quella fresca!).
Nella Sicilia centrale, in particolare ad Enna, nella ricetta aristocratica compaiono anche miele, cannella e cioccolato e il timpano di pasta frolla.
Questi sciabbò venivano serviti in casa nostra in un modo più semplice: in una pirofila con copertura di pasta brisée.
Il sugo: besciamella e ragù, ed è così che li ho preparati!


Martini e Negroni per tutti, con qualche stuzzichino, e, poi, tutti a tavola. E così li ho serviti!

Dopo gli sciabbò (sui quali ho chiesto le peggiori critiche possibili per potermi poi migliorare), Edoardo ha portato un pesce d’Aprile (era il primo d’Aprile ed era una trotona salmonata!),

Lionello del fagiano in salsa Doria (salsa di casa sua e non ho chiesto la ricetta). Io mi sono limitato ad un’insalata mista, molto mista e ben condita.

E, al grido “Siete ancora le mie cavie!”, siamo quindi passati ai dolci. Ho preparato una crostata di frutta alla vecchia (con frangipane) e una Tarte Tatin.

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